Che tipologia di stampa predilige?

Stampa di alta qualità a getto d’inchiostro su carta fotografica e, in particolare per questo nuovo lavoro di cui parleremo in seguito, su plexiglas.

Prima l’idea o la fascinazione per il materiale? Ovvero, nasce prima il progetto artistico/fotografico o questo le viene ispirato da delle tecniche, delle lavorazioni particolari che l’hanno colpita?

Probabilmente questi due aspetti si sviluppano  di pari passo nel momento in cui prende corpo un nuovo progetto di lavoro, similmente a ciò che succede anche per la realizzazione di scenografie in teatro.

Naturalmente prima c’è l’idea ma,  per esempio, nel caso dell’ultimo lavoro “Cartoline dal futuro” realizzato con retrostampa su plexiglas, il supporto ha giocato un ruolo fondamentale nella sua creazione in quanto parte integrante del lavoro stesso: infatti il risultato è un oggetto tridimensionale dove stampa e materiale diventano un tutt’uno, quasi si trattasse di mini-sculture.

 

Ha dei Maestri di riferimento a cui guarda, a cui si sente affine?

Il mio riferimento del cuore è sicuramente Fausto Melotti per poetica e uso dei materiali, poi Meret Oppenheim, Max Ernst, Gehrad Richter.

 

La sua recente mostra “Cartoline dal futuro”, tenutasi presso Spazio Milesi – Milano, vede una serie di immagini-immaginari futuristici e futuribili donarsi allo spettatore, anche in formato cartolina, facendomi tornare alla memoria le serie di Alighiero Boetti chiamate “Cartoline Astratte” e “Cartoline mai spedite”; nelle sue opere però non si concentra lo sforzo artistico nell’ipotizzare azioni inattuate e scenari astratti suggeriti, bensì si immaginano mondi distopici di un ipotetico futuro anteriore, dove la fantascienza si fa scienza e l’irreale reale.

Le sue opere hanno in sé dell’estetica condivisa con grandi maestri della storia dell’arte come Hieronymus Bosch, per la meticolosità e la complessità di significati e contenuti simbolici, e della più recente e riscoperta artista Hilma Af Klint, con la quale condivide a mio parere la solidità e la struttura delle immagini che abbondano di declinazioni misteriche, quasi orfiche.

Vorrei chiederle di approfondire per noi la sua poetica, descrivendoci le sue ispirazioni e magari capire se c’è e quale sia la correlazione tra la serie “cartoline dal futuro” e “Urban Warriors”, entrambe opere esposte nella sua recente personale milanese.

Sono onorato dall’accostamento con tali personalità artistiche che le ha evocato il mio lavoro.  Penso che nello spazio libero della mente collettiva le idee si possono espandere in tutte le direzioni possibili e che sicuramente siamo connessi con più personalità a noi affini (o che comunque possiamo metterci in contatto con esse) dalla quali attingiamo il nostro immaginario poi visualizzato nel lavoro d’arte. La mia esperienza è quella di essere una sorta di strumento che media o fa da tramite dal mondo delle idee  a quello della realtà quotidiana: la condizione per visualizzarlo è di avere lo stupore del bambino che ancora è in contatto naturale con altre dimensioni e che con un segno rivela il progenitore.

Condivido il pensiero spirituale  di H.Af Klint che è sempre stato  anche alla base della mia ricerca artistica, da quando realizzavo mini collage con elementi di recupero e della natura, una striscia di alluminio, una decalcomania, un pezzo di corteccia assemblati in teche di plexiglas quasi fossero una “classificazione scientifica” di emozioni, al tentativo di tradurre in sequenze di colori i video girati risalendo i torrenti delle valli del ghiacciaio dell’ Adamello a rappresentare una loro personalità unica e irripetibile,  portatori esclusivi di vita, generatori di territori…

Per quanto riguardo la sua domanda specifica sul mio lavoro recente si tratta di una ricerca digitale intrapresa negli ultimi anni a partire dalle rappresentazioni antropomorfe umanoidi, “Urban Warriors”, -il mio lavoro del 2013-, collage digitali di immagini meccaniche fuori scala per “ricostruire” l’uomo postatomico, un immaginario che fa riferimento a simbolismi e miti della società ipertecnologica dei nostri tempi.

La nuova serie di miniature tridimensionali progettate da un ridisegno del formato della cartolina tradizionale con una tecnica di sovrapposizione di immagini recuperate dal Web, è una sorta di prequel di memoria pre-adolescenziale, pensata precedentemente alle composizioni di cui sopra anche se realizzate dieci anni dopo, dove la mitica serie “Urania” di Mondadori mi svelava mondi fantastici e visioni futuristiche che oggi, a distanza di 50 anni,  sono incredibilmente confermate dalla nostra esperienza quotidiana. Ho selezionato quindi una serie di romanzi di fantascienza che leggevo da ragazzino di cui ho riscoperto la loro sorprendente attualità che mi ha ispirato  sia nell’immaginario, da cui le citazioni che giustamente vi ha letto, che nel gioco di spazio e tempo delle cartoline spedite dal futuro (i primi romanzi sono degli Anni ’50).

Cartoline quindi spedite nel passato da un futuro lontano, ci vengono recapitate oggi per raccontarci il nostro presente, distopico, tecnologico e trascendentale, confermando la teoria della Relatività di Einstein, che ci dice che quando un corpo (la cartolina) si muove ad una velocità tanto elevata da essere comparabile a quella della luce, raggiunge il suo punto di destinazione con un tempo inferiore rispetto al suo destinatario che è rimasto immobile, vedi il “Paradosso dei due Gemelli” .

 

 

 

 

Progetti futuri?

Oltre all’attività in teatro come scenografo, prossimamente lavorerò di nuovo in Italia  per un progetto di Teatro Sociale per conto di Idra Teatro di Brescia e spero di comunicarvi a breve nuove date dove mostrare le“Cartoline dal Futuro”.

 

 

 

Biografia

Silvio Motta

Artista-Scenografo

www.silviomotta.com

Silvio Motta 

Silvio Motta, nato a Heidelberg in Germania, si laurea nel 1988 in progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano con il prof. V. Viganò; master in bioarchitettura nel 2005 presso ANAB di Rovereto. 

Parallelamente agli studi di architettura, ha frequentato dall’età di 16 anni il Teatro dell’Acqua di Gargnano condotto dai fratelli Lievi quale assistente alla scenografia di Daniele Lievi, esperienza culminata nel 1984 con il premio UBU per il miglior spettacolo di avanguardia per “Barbablù” di G.Trackl,  Biennale di Venezia.

Dopo la laurea inizia una collaborazione con lo scenografo Tobia Ercolino presso il Teatro Rifredi di Firenze conclusasi con il premio UBU per la miglior scenografia nel 1991 per “Improvvisamente l’estate scorsa” di T.Williams, regia di Cherif, Teatro Testoni di Bologna.

Nel 1994 si trasferisce in Germania dove alterna collaborazioni presso studi associati di architettura (Prof. Nestler, BDP a Monaco), al lavoro di scenografo costumista per numerose produzioni teatrali nei paesi di lingua tedesca.

Nel 2021 ottiene il Premio alla carriera per il lavoro di scenografo al Film Festival di Afragola, Napoli.

La produzione artistica prosegue parallelamente alle altre attività e insegue un’ispirazione intima in cui realtà e fantasia tendono a sovrapporsi alla ricerca di una mappa di sopravvivenza come già nella sua prima personale presso la Galleria Multimedia di Romana Loda a Brescia nel 1991: “Motta racconta per sequenze (“La vita segreta delle piante”, “Il mio piccolo teatro volante”, “Quadrato nero con nuvole, con stelle cadenti, con lucciole…”) assemblando forme geometriche, tessuti, foglie, rametti, pezzi di corteccia, fili tesi, spilli, vetri, scritture. Le sue opere sono come teche, archivi della memoria che al posto di un indice sistematico e ordinatore hanno costellazioni di frammenti, mappe di rotte emotive. 

È l’opposto dell’artista eroe (si pensi alle teorizzazioni di Beuys) ma insegue in delicate ragnatele la stessa estrinsecazione della forza insita nella materia, in frammenti di quell’opera globale che è la vita. Alcune sculture in forme primarie si propongono come occupazione armonica dello spazio e “ingombro” di sogni o, per dirla col titolo della mostra, come “l’albero che si trasformò in stella”. (f.l.)

A partire da metà degli anni ’90 l’utilizzo sempre più frequente del video quale forma di “quinta dinamica” ereditato dalla pratica teatrale condurrà ad una serie di installazioni multimediali “site specific”: tra gli altri l’installazione video “29MUC7 – la croce e il quadrato”, mandala psichedelico (Festival Emmas, Olbia 2004)  i cui singoli frame video sono altrettanti light boxes; “Adamello il cuore trasparente” (MUSIL di Cedegolo, 2011), video girato riprendendo i sette torrenti dell’ Adamello e la sua sorgente sul ghiacciaio alla ricerca dell’essenza “spirituale” di ciascuna valle evidenziato infine da un codice colorato a barre ricavato dai colori riflessi nelle differenti acque; “Sospensioni cromatiche” (Tagliata del Ponale, 2007) dove la proiezione di immagini ispirate dalle poesie di H.Michaux contrastano con la superficie corrugata delle caverne del forte austriaco scavato nel cuore della montagna; “Chi cerca l’uomo trova l’homo pubblicitarius” (Galleria Inga Pin, Milano 2007) in collaborazione con Gianfranco Milanesi come scriveva la compianta Maria Grazia Torri “ecco a seguire i mirabolanti creatori della macchina BIG MOUTH, Gianfranco Milanesi e Silvio Motta, che centrano perfettamente il problema spinoso dei rapporti di coppia tra umani.

Ecco BIG MOUTH una scatola in cera bianca su cui si imprimono le immagini delle famose labbra rese note da Man Ray, che fanno uscire un annuncio tipo. Si dichiara lo scopo (relazione o eventuale matrimonio) e si seguono cliché predeterminati quali il sentimentalismo, il denaro, l’innocenza, l’esclusività, o la mancanza di vizi. Questi cliché sottintendono di fatto, tra le righe, un desiderio o un’impossibilità d’incontro, anche sessuale, oppure un’ideale di presupposta felicità irrealizzabile. Impossibilità di comunicare, ipocrisia, negazione del rapporto, solitudine, infine disperazione sono le vere protagoniste dell’installazione (e della vita) che riduce il sentimento di coppia ad una farsa virtuale basata su visioni effimere e ideali inesistenti e preconfezionati”.

Negli anni 2000 la dimensione digitale acquista una nuova dimensione narrativa con il lavoro presentato nella collettiva “Being Human, Haitsma’s way” (Spazio Contemporanea a Brescia, 2013), in parte esposto oggi presso lo Spazio Milesi; scrive a proposito Giampietro Guiotto: “La collettiva “Being Human, Haitsma’s way” si presenta come una riflessione sull’incerta identità umana nell’età contemporanea e sulle difficoltà del pensiero filosofico ed estetico di alleviarne la tragicità del vivere… Il ricorso di Motta al mondo del web, dal quale preleva frammenti di immagini per assemblare robot dagli occhi artificiali, pezzi di motore e di architetture, come la Torre Eiffel, dà luogo a ipotetiche visioni di matrice surrealista e futurista, che rivisitano i superpoteri della macchina e lo spirito fantascientifico del superuomo tecnologico. L’inquietudine umana, mascherata dall’artista con la realizzazione di potenti mostri, è quella relativa al corpo e ai suoi mutamenti nell’era della clonazione, dell’ibridazione e della manipolazione scientifica, che portano l’individuo alla metamorfosi fisica e al potenziamento di inedite sensazioni e percezioni”.

mostre recenti:

2022 – Installazione presso il Museo della città di Villingen-Schwenningen “Utopie-Heimat”

2017 – Installazione Multimediale “La stanza di Dafne e altre metamorfosi” – Casa del Provveditore a Salò.

2013 – Spazio Contemporanea a Brescia “Being Human, Haitsma’s way”

2011 – Video installazione “Adamello/ il cuore trasparente” per LAQUA/Aperto – MUSIL di Cedegolo. 

2009 – Video performance “Il sogno del Parco del Sogni” per Lorenzago Aperta

2007 – Galleria Inga Pin a Milano: “Big Mouth: chi cerca l’uomo trova l’homo pubblicitarius”