Avvalendosi spesso della stampa come medium per esecuzione dell’opera, posso chiederle quale tipologia predilige?

Eccettuate le stampe di piccolo formato, sino al 15×22, che uso per organizzare i progetti o per mostrare il mio lavoro alla clientela, le mie esigenze di stampa riguardano i fini espositivi; inizialmente usavo come formato standard il 40×60, ma ultimamente prediligo il 24×36, montato in Passepartout 40×40.

Trovo questo formato più adatto alle mie fotografie, come se usassi un tono più dimesso e pacato nell’esporle, un modo in un certo senso più intimo di presentarle; il Passepartout quadrato mi consente di uniformare il ritmo visivo delle fotografie esposte sia che si tratti di verticali che di orizzontali, che comunque sono nettamente prevalenti quantitativamente.

Le Hahnemühle Fine Art sono fantastiche, sia le Photo Rag che di solito sono la scelta primaria che le Textured, soprattutto la favolosa William Turner.

 

Prima l’idea o la fascinazione per il materiale? Ovvero, nasce prima il progetto artistico o questo le viene ispirato dalle tecniche, dalle lavorazioni particolari che l’hanno colpita?

Sempre prima l’idea, è il centro del mio percorso; attorno ad essa ruotano i modi, i tempi di realizzazione, le emozioni che vi si accompagnano.

La scelta del materiale è il tocco finale, e viene effettuata dopo alcune prove di stampa per trovare la giusta sintonia con le scelte cromatiche e di luce delle fotografie; trovo questo passo finale estremamente interessante ed appagante, sono sacrosante le parole di Adams che assimilava la stampa l’esecuzione di una partitura musicale, la sua glorificazione che viene dalla sue completa comprensione e dall’immersione nel significato e nello spirito delle immagini.

 

Ha dei Maestri di riferimento a cui guarda, a cui si sente affine?

Tantissimi! Tanti da non sapere quali citarle a discapito di altri…

Riguardo i riferimenti, trovo che molti grandi autori possano lasciarci dentro semi fecondi, che sta poi a noi far crescere e coltivare per esprimere quello che abbiamo dentro, che è il solo vero fine ultimo delle Arti espressive come la Fotografia.

Sono particolarmente affascinato dagli autori della cosiddetta Fotografia Umanistica, quella che si dedica al racconto della realtà, che sa guardarvi attraverso e trarre racconti da quello che ci circonda; sia i grandi lavori in bianco e nero che quelli a colori sono spesso di una potenza straordinaria.

Ammiro e seguo molti lavori concettuali e fatti di progettazione e costruzione precisa delle fotografie, ma personalmente non posso prescindere dall’essermi immerso in un contesto reale, di aver avuto veramente davanti alla fotocamera quello che ho fotografato; semplicemente, il mio modo è rapportarmi con la realtà, nel senso più classico e tradizionale di questa attività.

Anche per questo non uso espedienti software per modificare le mie fotografie, se non facendo quello che per tanti anni ho fatto in camera oscura con i negativi: toni, contrasto, luci ed ombre; il più delle volte non ritaglio le immagini, credo che la lunga scuola della pellicola invertibile mi abbia fortemente influenzato nel dare più attenzione possibile al momento dello scatto, alla composizione nel mirino.

Sono stato a lungo molto preso dal bianco e nero, ma ad un certo punto ho sentito di faticare a rinunciare al colore, sebbene sia più complesso e costituisca una sfida maggiore, soprattutto in termini di rigore nello scatto ed idee molto chiare nella fase di sviluppo, alla ricerca del registro e del mood cromatico che veramente ci appartiene e che sia in perfetta sintonia con il contenuto delle immagini.

Rinuncio comunque sempre al concetto di sentirmi affine ad uno o l’altro dei Giganti che ammiro e studio, li vedo talmente in alto che mai mi sognerei di paragonare qualcosa del mio semplice lavoro al loro.

 

Quelle che ho notato dai suoi scatti è la perenne ricerca del particolare.

Che siamo fotografie realizzate in Italia o all’estero, fotografie di orchestre sinfoniche o di matrimoni ciò che viene focalizzato è spesso un dettaglio specifico che riesce a raccontarci molto di più del contesto di quanto potrebbe fare un’altro tipo di scatto.

L’utilizzo di un particolare per raccontare l’insieme mi riporta immediatamente ai concetti di Punctum e Studium teorizzati da Roland Barthes in “Camera Chiara”, uno dei più grandi saggi sulla fotografia.

Potrebbe raccontarmi qualcosa riguardo questa sua particolare modalità di selezionare il Focus di una fotografia? 

Lei ha giustamente citato Barthes, che non può mancare tra le letture di chi ama la Fotografia..  alcuni dettagli, sia materiali che, soprattutto, emotivi ed espressivi, sono come dei nodi nel racconto, punti nei quali si concentrano le energie rappresentative del linguaggio dell’immagine.

Cercarli, o meglio attenderli, spesso molto pazientemente, è una sfida ed insieme un piacere irrinunciabile.

Ho usato il termine “attenderli” perché credo molto nella disciplina e nella pazienza che cerco di usare nel percepire quello che fotografo, come credo molto poco nella retorica del “cogliere l’attimo” che si presenta in una frazione di secondo, che riduce molti scatti felici ad un misto di rapidità e fortuna; la fortuna in Fotografia è molto rara, molto meno raro è il risultato pazientemente e rigorosamente voluto e costruito con studio, tempo, concentrazione, conoscenza di quello che si fotografa.

 

 

Progetti futuri, entro fine giornata?

Molti progetti, il classico cassetto pieno..   anche molto diversi tra loro, ma accomunati da una strada, che vorrei essere in grado di perseguire sempre più profondamente: la concentrazione verso l’interiorità, il tentativo di mettere sempre più di me in quello che fotografo, per assurdo quasi indipendentemente dal soggetto, anche se è legge ferma che in assenza di partecipazione ed empatia con il soggetto non vi sia vera espressione di quello che il soggetto ha prodotto dentro di noi, che ci ha fatto sentire, esperire.

Anche la sperimentazione verso formati diversi e diverse modalità rappresentative mi attrae molto, soprattutto nella direzione che avvicina di più la Fotografia alla pittura, altra fonte di assoluta ed irrinunciabile ispirazione…

Sopra tutto, e sempre, vorrei lavorare ancor più approfonditamente sulla Luce, che alla fine è il mio vero soggetto prediletto, la mia ossessione.

Biografia

Luigi Brozzi

Fotografo

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www.instagram.com/luigi.brozzi.fotografo

Nato a Brescia nel 1963, consegue la maturità classica e si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano.

Dopo diverse esperienze come Architetto, intraprende la strada della comunicazione e della Pubblicità, collaborando con alcune agenzie cittadine e poi fondandone due proprie.

L’attività fotografica, perseguita da sempre come passione, è parte integrante del lavoro pubblicitario, sinché diviene professione primaria dal 2004.

Come Free-Lance, si occupa di servizi di reportage, per aziende, attività commerciali, matrimoni; il campo di ricerca personale è quello del reportage, della fotografia di strada e del ritratto.

Dal 2012 tiene corsi di fotografia, sia collettivi che individuali, a livello base ed avanzato o su specifiche esigenze del cliente, sia dal punto di vista tecnico che dell’editing e di specifici generi di ripresa, in collaborazione prevalente con New Free Photo in Brescia, con il Comune di Sirmione e con altri Enti privati e svariate associazioni fotografiche del Nord Italia.