Che tipologia di stampa predilige?
È la narrazione che orienta la scelta tecnica per la ripresa e di conseguenza per la stampa. Ad esempio per il mio lavoro su George Floyd o quello sulle Cages, entrambi caratterizzati da una dominanza di neri profondi (con ripresa in digitale), l’unica stampa che regge è quella su carta Baryta.
Altri lavori come i miei torsoli (dettagli a colori) richiedono stampe che esaltino le cromie, il che porta a soluzioni diverse. In questo devo dire che Newlab mi ha sempre aiutato moltissimo a orientarmi tra le diverse scelte.
Prima l’idea o la fascinazione per il materiale?
Ovvero, nasce prima il progetto artistico/fotografico o questo le viene ispirato da delle tecniche, delle lavorazioni particolari che l’hanno colpita?
Senza dubbio nasce sempre prima l’idea. La scelta tecnica è conseguente.
Ad esempio: la serie Still LiVe che ho concepito richiede l’uso dell’analogico perché ho bisogno della coesistenza di dettagli molto spinti con la morbidezza delle sfocature e dei toni intermedi tipici del grande formato. In alcuni casi ho avuto bisogno di sottolineare la preziosità morale e umana della persona che fotografavo e l’ho fatto usando la tecnica del palladio/platino.
Quando mi serve dare un senso di imprecisione uso tecniche di ripresa come il foro stenopeico, macchine antiche e/o ottiche a bassa definizione, e via così. Ma è tutto conseguente alla scelta narrativa. E’ quella che determina la tecnica da utilizzare.
Ha dei Maestri di riferimento a cui guarda, a cui si sente affine?
Ci sono tantissimi autori da cui traggo grande insegnamento in diversi ambiti. Sul colore sono stato molto influenzato sin da giovane da Fontana e Roiter. Anche personaggi come Francesco Cito e Luciano Ferrara mi hanno sempre fornito una continua ispirazione, non solo fotografica, ma anche di visione e personale.
In ambito più artistico la lista è infinita. Restando qui in Italia penso al bellissimo lavoro di Edoardo Romagnoli sulle lune.
Tecnicamente parlando ovviamente Ansel Adams è un riferimento a tutt’oggi, devo dire più che per la tecnica del sistema zonale, per la sua continua sottolineatura dell’importanza della visualizzazione dell’immagine, che purtroppo viene troppo spesso dimenticata.
Il Suo lavoro artistico è incentrato sul concetto di Bias cognitivo, forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio.
Il Bias è causato da vari fattori (esperienza individuale, contesto culturale, schemi mentali e paura di prendere una decisione che causi danno) e se è vero che è un meccanismo ancestrale della cognizione umana legato alla necessità primordiale di affidarsi all’istinto come unico metro di giudizio atto a garantire la sopravvivenza, è altrettanto vero che se da una parte il Bias consente di prendere una decisione in tempi piuttosto brevi, dall’altra ne può minare la validità.
È infatti sul concetto di Tempo che vedo raccordarsi il corpus di lavori “The blind sight” composto da tre serie di opere
(“I can’t breath”, “Yolo”, “Stay with me”) e “Still LiVe”.
Quest’ultimo gruppo di opere si differenzia da “The blind sight” per un approccio, di primo acchito, formalmente estetico.
L’analisi poetica e concettuale presente in “The blind sight”, opere che ci spingono al confronto con gli omicidi ingiustificabili di tre uomini afroamericani da parte delle forze dell’ordine degli Stati Uniti, pare essere accantonata in favore della presentazione visuale di svariati oggetti di uso comune, vestiti di rinnovato interesse da una eccezionale tecnica fotografica.
Il focus sui Bias cognitivi che portano al razzismo, matrice della triade sopracitata, sembrano lasciare spazio ad un’ode alla lentezza.
In “Still Live” si presenta infatti, vivo più che mai, il piacere di osservare e la richiesta al pubblico di dare e darsi il tempo di riflettere su ciò che vede.
“Quando vai in cerca del male nel genere umano aspettandoti di trovarcelo, senza meno lo troverai” scrisse David Swift, regista della Hollywood anni sessanta, e a mio parere descrive perfettamente la cecità cognitiva a cui ci porta la mancanza di tempo per analizzare e analizzarci, la stessa mancanza di tempo che non ci fa cogliere il Bello, inteso in senso Classico (“kalòs kai agathòs”).
E se il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij afferma: ”La bellezza salverà il mondo”, non si potrebbe ad oggi affermare che è invece “Il tempo per vedere la bellezza” a salvarci, aggirando i nostri Bias, ponendoci in una posizione più neutrale e maggiormente aperta agli stimoli del mondo esterno, senza farci barricare dietro supposte certezze?
In realtà Blind Sight comprende anche il lavoro mio più importante: il progetto di mail art collaborativo “A Postcard for Floyd”. Partendo da una delle mie immagini sul caso di Floyd – ho creato una cartolina che ho spedito a diverse persone sia nel mondo dell’arte e della cultura italiana, che non. Ho chiesto di restituirmela con qualunque cosa gli potesse venire in mente su quell’episodio. Ne ho ricevuto un coro di risposte molto più forte di quanto immaginassi ed oggi le circa 400 cartoline sono radunate in un volume edito da Skira (A Postcard for Floyd) e sono esposte fino al 18 giugno a Milano presso Assab One. Il tutto insieme ad una serie di contributi anche ad opera di attivisti neri che ci aiutano a capire il problema dal loro punto di vista.
La pluralità di voci e di espressioni è la vera forza di questo coro.
Il titolo Blind Sight tradotto vuol dire “vista cieca”. Una rarissima malattia per cui perdiamo la vista, mantenendo però qualche forma di vista incosciente. Chi ne è affetto reagisce a degli stimoli visivi senza aver coscienza di farlo. E’ quello che accade nel pregiudizio che spesso ci porta a comportamenti di cui non ci rendiamo neanche conto. Il razzismo alla fine è la nostra vista cieca rispetto al pregiudizio. Blind Sight è in generale un progetto che parte dalle neuroscienze comportamentali per combattere il pregiudizio attraverso l’arte. Sotto questo profilo non vorrei neanche focalizzare blind sight sui soli casi americani. Il tema del pregiudizio riguarda anche noi italiani. Me sicuramente. Questa è una cosa che nel mio libro chiarisco molto bene sin dall’introduzione.
Premesso questo tutto il mio lavoro degli ultimi anni ha in realtà una matrice comune molto chiara intorno al recupero del tempo e dei propri lavori. Attraverso una serie di vicissitudini personali, ho completamente cambiato la mia vita e le priorità che mi ero dato. Da lì una serie di riflessioni che partono dalla serie “Cages”, in cui rifletto su come le architetture iconiche siano bellissime, ma al tempo stesso gabbie per chi ci vive dentro a causa dei ritmi che quella vita impone. Still Live come ha detto lei va esattamente nella stessa direzione: è una riappropriazione del tempo che viene usata per riscoprire la bellezza in oggetti ormai in disuso. Blind sight nasce in parallelo per il fatto che – riflettendo appunto su chi ero e sui valori della mia vita – avevo capito che razzista lo ero io. Da qui poi iniziai l’approfondimento delle neuroscienze comportamentali: volevo capire cosa animava le paure nel mio cervello. E man mano che andavo avanti si rafforzava in me l’esigenza di ridefinire completamente le priorità della mia vita.
In sostanza Blind Sight, Cages e Stlli Live, sono di fatto tutti lavori che ruotano intorno a una completa rivisitazione di chi ero e di una conseguente riappropriazione (o almeno un tentativo di farlo) del mio tempo in modo da poter ridare peso ad una serie di valori che avevo sottovalutato. E’ un viaggio che ho iniziato probabilmente senza neanche volerlo, e che è sicuramente ancora molto lungo.
Progetti futuri?
Sto lavorando a un progetto che racconta in dettaglio perchè il nostro cervello ha bisogno di creare pregiudizi e come fare a superarli. Anche qui si parte dallo studio delle neuroscienze comportamentali, ma la forma espressiva sarà sempre artistica. Si intitola “The Plot” e farà parte della serie di “Blind Sight”.
Biografia
Giangiacomo Rocco di Torrepadula
Artista Fotografo
Giangiacomo Rocco di Torrepadula
Nato a Napoli nel 1966, Giangiacomo Rocco di Torrepaluda è un artista visuale e un fotografo. Il suo lavoro si focalizza principalmente sui temi dell’odio e del pregiudizio, in particolare razziale.
Prima di dedicarsi pienamente all’attività di artista, Giangiacomo è stato uno startupper seriale nell’ambito della salute digitale. Ha vissuto a San Francisco, e proprio qui ha potuto vedere dal di dentro alcuni dei casi più noti che hanno dato vigore al movimento Black Lives Matter. Un’esperienza scioccante, che lo ha condotto a investigare questi problemi con il progetto “Blind Sight”, non solo sotto un profilo storico e sociologico, ma anche dal punto di vista delle neuroscienze, approccio inedito che sta svolgendo a livello internazionale, per esplorare i meccanismi che generano stereotipi e pregiudizi, e come questi possano addirittura portare a crimini di odio. Giangiacomo debutta nei primi anni 2000 con due personali a cura di Lanfranco Colombo, fra i massimi esponenti della storia e della diffusione della fotografia italiana. Philippe Daverio lo inserisce nel suo libro “13×17: 1000 artisti per un’indagine eccentrica sull’arte italiana” edito da Rizzoli (2007). Nel 2022 vince il prestigioso Premio New Post Photography di MIA – Milan Image Art Fair. Ha esposto a Centrale Festival 13 di Fano (2022) alla Rocca Malatestiana e alla Genova Design Week 2022 nell’antico convento di Santa Maria di Castello. Vive in Franciacorta, dove si trova il suo studio, e lavora in tutto il mondo.